Powered by Clape.eu

19 May 2024
titolo legami

Le idee e le culture dell'emigrazione

Direttore: Lucio Gregoretti

La spada e la croce: il vecchio Friuli e la Chiesa.

Cultura & identità

I rapporti tra governi e istituzioni civili con la Chiesa di Roma nel periodo medioevale e il ruolo del patriarcato di Aquileia, centro della vita religiosa del Friuli.

di JACK DEGANO

È di naturale interesse leggere articoli e storie riguardanti personalità friulane che in passato si distinsero per il loro contributo al bene dell’umanità. Ne siamo orgogliosi e vorremmo che gli “altri” ce ne dessero credito.

Il rapporto tra il vecchio Friuli e la religione – in primis quella cattolica – è una miscela interessante. Ci sono dati di comune conoscenza per chiunque ha passato i primi anni giovanili sui banchi di scuola. Si sa che Aquileia era una importante città romana e sede del grande patriarcato dell’Occidente. Si sa che Trieste aveva una delle più numerose comunità ebraiche dell’Italia.

Ma si sa che per più di un secolo buona parte dei “cattolici” del Friuli non lo erano, essendosi allineata con gli eretici sulla questione della natura di Gesù Cristo? E quanti conoscono il nome di alcuni friulani che in passato si distinsero nel campo religioso? Queste brevi riflessioni non trattano del problema della religiosità o meno dei friulani. Piuttosto dei rapporti tra governi e istituzioni civili con la Chiesa di Roma nel periodo medioevale. In particolare il ruolo del patriarcato di Aquileia, simbolo e centro della vita religiosa del Friuli.

L’imperatore Teodosio

MANOSCRITTO. L’imperatore Teodosio in un’illustrazione tratta da un manoscritto del IX secolo.

EROI E SANTI DEL VECCHIO FRIULI

E per incominciare elenchiamo brevemente alcune ragioni per le quali il Friuli ha contribuito al bene religioso del resto del mondo (vanto e orgoglio!).

Anzitutto il Friuli diede alla Chiesa un papa: Pio I (154 d.C.) che, da Roma, diresse il piccolo gregge di credenti durante i tristi anni di persecuzione da parte dell’imperatore Antonino Pio e ne morì martire. Ma di particolare interesse agli studiosi è la storia di Erma, un presunto fratello del papa. Egli è il noto autore di uno scritto di stile apocalittico. L’autore vi descrive delle visioni aventi per scopo di mantenere la fedeltà alla dottrina e alla prassi apostolica. Il libro ebbe una grande fortuna specialmente nelle chiese orientali. Scritto a Roma, originariamente in greco, il Pastore di Erma rimane tuttora una fonte di conoscenza dello sviluppo del cristianesimo.

Ma ancor prima dei due fratelli, il Friuli aveva dato alla Chiesa diversi martiri, tra i quali Ermacora e Fortunato (70 d.C.) ora riconosciuti come “patroni” delle diocesi di Udine e Gorizia. Nei secoli successivi altri friulani vennero martirizzati per la loro fede: Ilario e Tiziano (284 d.C.), Crisogono e Proto (inizio del 300 d.C.) e, a quanto pare, una intera famiglia: Canzio, Canziano e Canzianella. Tra i primi vescovi di Aquileia ci furono altri ‘santi’: Valeriano (387 d.C.), Cromazio (408 d.C.) e Niceta (482 d.C.).

Con la fine del tempo delle persecuzioni, la Chiesa si consolidò e in Friuli Aquileia divenne il centro della vita religiosa e a pari passo anche della vita politica della società civile. Nel 381 Aquileia ospitò un importante “concilio/sinodo” al quale presero parte un 35 vescovi, tra i quali Sant’Ambrogio di Milano, dove si riaffermò la dottrina cattolica in opposizione alle affermazioni ariane che attribuivano al Figlio una natura inferiore a quella del Padre e quindi negavano la divinità di Cristo.

Una delle prime attestazioni del monogramma cristiano in un edificio pubblico, alla Basilica di Aquileia

MOSAICO. Mosaico con dedica al vescovo Teodoro (IV secolo). In alto è presente il monogramma cristiano, una delle prime attestazioni in un edificio pubblico. Basilica di Aquileia.

 

Tra i benemeriti personaggi della chiesa di Aquileia, vanno nominati Ruffino (345- 410), che ci tramandò diverse antiche opere storiche e religiose che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute. Così pure il suo condiscepolo, il grande San Gerolamo, dottore della Chiesa e benemerito traduttore dell’intera Bibbia dal greco e l’ebraico al latino. Il testo è conosciuto come “la Vulgata” e fu usato dalla Chiesa in tutto l’Occidente per più di 15 secoli. Gerolamo, nato a Stridone, nella Dalmazia, 50 km in linea d’aria da Aquileia, passò alcuni anni ad Aquileia e lì iniziò a esperimentare una vita di silenzio e meditazione che lo condusse agli studi biblici.

Noto anche al di fuori della cerchia puramente ecclesiastica si trova il famoso Paolo Diacono (730-799). Il suo vero nome era Winfrid Warnefried e assunse il nuovo nome quando divenne monaco benedettino. Nativo di Cividale, Paolo apparteneva ad una nota famiglia longobarda. E dei longobardi Paolo scrisse una dettagliata storia in sei libri, la famosa Historia Langobardorum. Ma durante una vita movimentata che lo condusse, tra l’altro a far parte della corte di Carlo Magno, Paolo compose una incredibile lista di scritti storici, teologici, poetici, agiografici e traduzioni. Raccolse centinaia di omelie pronunciate da noti personaggi e da santi. Tutto questo mentre conduceva una vita attiva ed impegnativa. Questa ebbe fine a Montecassino, nel monastero dell’ordine benedettino, di cui era stato un fedele membro.

Quasi contemporaneo e conterraneo fu San Paolino di Aquileia (730-802), da alcuni ritenuto nativo di Premariacco. Egli pure fece parte, per un certo tempo, della corte di Carlo Magno, il quale a suo tempo ne appoggiò la candidatura alla carica di patriarca di Aquileia. E durante il suo periodo di servizio ecclesiastico, dovette spesso allontanarsi per offrire i suoi servizi alla causa del regno del grande Carlo.

Fregio paleocristiano del II secolo d.C.

FREGIO. Fregio paleocristiano del II secolo d.C. con il simbolo di Cristo e colombe.

 

UN FRIULANO VUOL CONVERTIRE LA CINA

Degno di memoria è un altro religioso, Odorico da Pordenone (1260-1331), che Giuseppe Marchetti descrive come “un asceta-avventuriero”. Questo semplice francescano, nativo di Villanova di Pordenone, all’ombra del grande Marco Polo, passò buona parte della sua vita peregrinando di paese in paese, di nazione a nazione. La lista del suo girovagare, come descritta nel suo Itinerario, non cessa di sorprendere il lettore di oggi. Con il solo breviario e bordone, Odorico visita quasi tutti gli stati dell’Europa orientale per poi spingersi verso una dozzina di stati dell’Asia orientale: Costantinopoli, Babilonia, Ceylon, Giava, India, Indocina, Borneo, Shanghai, Pechino, Tibet, Malesia.

Naturalmente questi viaggi durarono una dozzina di anni. Viene da chiedersi come riuscisse a mantenersi, spostarsi e come potesse fare del proselitismo in paesi con i linguaggi più disparati, lui che – a quanto pare – sapeva solo un latino rudimentale. In verità nelle sue memorie, dettate per ordine dei suoi superiori nel 1330-31 nel convento di Padova e poi di Udine, Odorico non vanta i mirabolanti successi di conversioni che altri gli hanno attribuito. Il suo peregrinare era visto quasi come un aiuto a chi volesse in seguito proseguire il progetto di predicare Cristo a queste varie popolazioni. Fu dichiarato ‘Beato’ dal papa Benedetto XIV nel 1775.

Al tempo delle peregrinazioni di Odorico, il patriarcato di Aquileia era ormai diventato una amministrazione più civile che religiosa. Il patriarca era anche un capo di stato e dedicava buona parte delle sue energie a proteggerne i diritti e confini. La scelta dei patriarchi era condivisa dal papa e dall’imperatore. Tra i meglio conosciuti fu Bertrando di San Genesio, un chierico francese che faceva parte della ‘corte’ papale ed era un noto studioso e professore all’Università di Tolosa. La scelta di un non-friulano e non-italiano era normale. L’elenco dei patriarchi di Aquileia apre gli occhi alla internazionalità della direzione ecclesiastica. Dal V al XV secolo buona parte dei prelati erano di origine tedesca, con alcuni francesi e pochi italiani.

Bertrando (1260-1334) fu inviato ad Aquileia, che per lui era una sede e responsabilità totalmente sconosciuta. Comunque ben presto si orientò e guidò il suo esercito nelle varie battaglie per difendere i territori del patriarcato contro Venezia, gli Asburgo, i vari feudatari e il Conte di Gorizia. Non che tralasciasse i suoi impegni nel campo religioso. La sua vita personale era nota per la austerità e la carità verso i bisognosi. Ma urta il moderno senso, considerare il novantenne Bertrando un ‘martire’ per essere stato ucciso dai soldati del Conte di Gorizia, anche se ciò accadde mentre rientrava da una visita pastorale a Sacile, in un agguato a San Giorgio della Richinvelda. Anche lui fu comunque ‘beatificato’ nel 1760 da papa Clemente XIII (ma non come ‘martire’).

Mosaico della Vittoria eucaristica, Aquileia

AQUILEIA. Mosaico della Vittoria eucaristica. Basilica di Aquileia.

IL PATRONATO

Il che porta ad accennare alla nota istituzione dello jus patronato. Secondo questo sistema, alcuni governanti nazionali e feudatari si erano attribuito il diritto, in alcuni casi accettato da Roma, benchè a malincuore, di nominare il candidato ad un ufficio ecclesiastico. Caso molto frequente nel nostro Friuli, con conseguenze non sempre positive. Questo soprattutto quando l’ufficio in questione era un “beneficiò”, ossia il diritto a percepire i proventi economici di una certa carica, quale una pieve o una diocesi.

Con questo sistema si osservarono casi estremi di nomine di persone incompetenti, di parenti o di minorenni a uffici religiosi. Candidati che vivevano lontano dal posto loro assegnato e non avevano alcun contatto con la gente della quale usufruivano i benefici. Il compito di realmente attendere al servizio religioso dei fedeli dei quali percepivano il beneficio, veniva assegnato a “vicari”.

Mosaico del Buon Pastore, Aquileia

MOSAICO. Mosaico del Buon Pastore, pavimento della Basilica di Aquileia.

 

A mo’ d’esempio, il ”Catapan” della antica pieve matrice di Flambro, recentemente pubblicato, elenca la lista di “pievani” residenti nelle zone più disparate e di vicari locali, spesso molto dedicati al bene spirituale della popolazione. Uno dei titolari il beneficio della pieve era addirittura arcivescovo di Zara (Vittorio Regazzoni, 1611). Un altro pievano fu un certo Wisseman di Flagonea (1288). Un pievano di Flambro, Marco Antonio Regino, ottenne il beneficio grazie alla nomina fatta direttamente (1507) dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo! Flambro: una pieve, ma un paesino di 900 anime, nella Bassa Friulana!

Per generazioni i Della Torre e specialmente i conti Savorgnan, signori del territorio, riuscivano ad assegnare il beneficio di Flambro a parenti non sempre degni. Non tipico, ma non unico, si ha il caso di un tredicenne, Francesco Girelli, figlio naturale di un Francesco Savorgnan, che ne fu insignito del beneficio (1799). Il giovane aveva ricevuto la tonsura, fu nominato pievano ma rifiutò di diventare prete e anzi condusse una vita sregolata, tanto apertamente che i parrocchiani, disgustati, rifiutarono di contribuire il consueto quartesie. Vi fu un compromesso: i parroci dei tre paesi della pieve, promisero un contributo così da permettergli una vita dignitosa fino alla morte improvvisa, nel 1834. Il caso qui descritto è un esempio di una situazione quasi generale.

Il patronato era sorto come difesa della religione, garantendo scelte adeguate all’ufficio richiesto. E a difesa del potere civile, garantendo che i responsabili della vita religiosa del popolo non costituirebbero un ostacolo al governo della autorità civile. Troppo spesso, in Friuli e altrove i detentori del diritto di patronato abusarono spudoratamente del loro potere a danno del benessere spirituale dei fedeli e della popolazione in generale.

SS. Pietro e Paolo, Aquileia

AQUILEIA. Blocco scolpito con i profili dei SS. Pietro e Paolo. Museo Paleocristiano di Aquileia.

AQUILEIA – OLTRE LA BASILICA

Anche una breve riflessione sulla religione in Friuli deve necessariamente includere almeno un accenno alla grande basilica di Aquileia, il più noto luogo di culto del nostro Friuli. Le origini dell’edificio furono, come nella maggior parte di simili chiese, un susseguirsi di piccole costruzioni: da piccolo oratorio a edificio con pretese artistiche e significato liturgico.

Tutto venne distrutto dallo sterminio provocato da Attila (“Flagellum Dei” come si usava dire) e i suoi Unni (452). Chiese e case furono bruciate e migliaia di residenti furono passati a fil di spada. La chiesa rimase quasi abbandonata per lunghi anni. Sarà il patriarca Massenzio (845 d.C.), anche sotto la spinta e con i sussidi di Carlo Magno, a seriamente ricostruire l’edificio utilizzando quanto era rimasto e usando anche le pietre dei vecchi edifici romani.

Un terremoto nel 988 e l’invasione degli Ungari crearono nuovi problemi, finché il grande e benemerito ristoratore della basilica di Aquileia, il bavarese Wolfgang di Treffen (1019-1042) noto come “Poppone” si dedicò con entusiasmo a portare a temine la ricostruzione e fece edificare il famoso campanile alto 70 metri.

La chiesa fu riconsacrata nel 1031 e Poppone ebbe tempo di occuparsi nei problemi politici. Fra l’altro per ben due volte invase, saccheggiò e distrusse le case e chiese della vicina Grado. Nuovi abbellimenti ed aggiunte furono creati dai patriarchi successivi, quale Ulrico di Treffen, che fece fare gli affreschi della cripta, e Marquardo di Randeck che fece riparare i danni provocati da un terremoto nel 1348.

Fortunatamente molti dei mosaici originali, che rendono unicamente famosa questa basilica, erano rimasti intatti o riparabili e sono tuttora oggetto di studio da parte degli esperti. Come appare dai nomi dei patriarchi, Aquileia non era semplicemente sede di un locale edificio di culto, ma la sede di un’autorità religiosa e civile di importanza europea. I suoi confini andavano dal Cadore al Danubio e la Drava, e includeva l’Istria, il Veneto, il Trentino, Como e il Canton Ticino.

Deposizione, Basilica di Aquileia

AQUILEIA. Deposizione. Cripta degli affreschi. Basilica di Aquileia.

 

A secondo delle personalità coinvolte e le circostanze dei tempi, alcuni patriarchi appaiono come semplici condottieri, ma in ogni caso la Chiesa di Aquileia ebbe un ruolo di una certa importanza nella vita del cattolicesimo. È nota l’esistenza del cosiddetto “Rito patriarchino”. Benchè parte della unica liturgia sacramentale, il modo concreto di celebrare la Messa e gli altri sacramenti era accidentalmente diverso, ispirandosi piuttosto allo stile liturgico dell’Oriente che a quello del resto dell’Italia.

Nessuna meraviglia: diversi riti/metodi liturgici esistevano in Gallia, Spagna e in seno ad alcuni ordini religiosi. C’erano il rito mozarabico, quello ambrosiano (tuttora in uso nella arcidiocesi di Milano). È curioso apprendere che l’autorità religiosa e civile del nostro patriarca, durante la crisi nestoriana, si estese alla diocesi di Como, per scelta dei fedeli comensi e a dispetto di Sant’Ambrogio. Qualche friulano non più giovane potrà, forse, ricordare i madins natalizi e qualche occasione in cui il celebrante si sbizzarrì nel cantare una parte della liturgia in un tono più elaborato e ‘orientale’: il patriarchino o mozarabico.

Tutto sommato, il Friuli non ha motivi per vantare un ruolo di primo piano nella vita della Chiesa o autoflagellarsi per mastodontici errori commessi. Ma è stato parte della storia. E chi studia questa storia, non può non incapparsi nei termini “Friuli” e “Aquileia”. Una cosa è evidente: per secoli, ed in parte tuttora, la vita del friulano era strettamente connessa con la religione e i suoi riti. Gli eventi della attività agricola e della stessa vita familiare erano determinati dal ritmo delle celebrazioni liturgiche.

La semina, i vari momenti della cura e crescita dei prodotti della terra, la cura degli animali domestici: tutto era si basato sulle fasi della luna, ma anche sul calendario liturgico. E non c’è dubbio che questa dipendenza cronologica era accompagnata da una connessione religiosa: il senso della dipendenza dalla divinità. Anche nell’attuale clima di estrema secolarizzazione, sembra poter dire che il friulano sente il rapporto tra vita e fede.

Che Diu nus uardi

Cripta degli Affreschi, Basilica di Aquileia

AQUILEIA. Scorcio della Cripta degli Affreschi. Basilica di Aquileia.

 

Espatri e religiosità

Da quando la nostra emigrazione è diventata fenomeno di massa ha cominciato a prendere forma stabile, strutturata e capillare anche il servizio della Chiesa di assistenza e aiuto verso gli espatriati. Una presenza che rimane tuttora di grande attualità, non solo perché gli italiani sparsi nel mondo di prima e successive generazioni si contano a milioni, ma pure per il fatto che questo contingente italiano all’estero è anche oggi alimentato da un silenzioso ma non insignificante flusso di espatrio anche per motivi di lavoro.

All’inizio della grande emigrazione lo stato fu quasi assolutamente assente; qualche disposizione “poliziesca”, ma nessun controllo sui flussi e sui sistemi di trasporto, nessuna presenza di aiuto nelle terre di immigrazione; in questa anarchia cominciarono a spadroneggiare gli “agenti di emigrazione” privati, veri “mercanti di carne umana” la cui attività fu di fatto legalizzata con la prima legge sull’emigrazione del 1888. È in questo contesto che prendono rilievo i pionieri dell’azione ecclesiale, a partire dall’opera di San Vincenzo Pallotti a Londra e dei missionari inviati da San Giovanni Bosco in Argentina.

Ma i grandi protagonisti di questa grande opera furono Santa Francesca Saverio Cabrini, fondatrice di un apposito istituto di suore per l’assistenza agli italiani nelle Americhe e il Beato Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, che fece instancabile opera di sensibilizzazione e mobilitazione della società e della Chiesa italiana su questo grave fenomeno di cui quasi ovunque si ignoravano perfino le dimensioni; quindi fondò anch’egli due istituti missionari, maschile e femminile, per assicurare questa presenza di Chiesa nell’America del Nord e del Sud e vi affiancò la Società San Raffaele costituita da laici impegnati a essere presenti fra i migranti soprattutto nei porti d’imbarco e di sbarco. A Scalabrini si affiancò il Vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli, che si prese cura degli emigrati italiani in Europa.

 

Giovanni Battista Scalabrini, 1904

EMIGRAZIONE E CHIESA. Giovanni Battista Scalabrini (al centro) nel 1904 sul fiume brasiliano Taquari, si reca a incontrare gli emigrati.

 

Primo impegno di questi pionieri era di assicurare a questi migranti cattolici un minimo di assistenza religiosa. A queste iniziative “religiose” erano inscindibilmente unite quelle assistenziali e promozionali, che riguardavano particolarmente l’istruzione, la salute, la difesa legale e spesso la stessa organizzazione civile di queste comunità. Una simile presenza perdura ancora ai nostri giorni in modo consistente ed efficace. Basti dire che solo in Europa sono ancora aperte 230 Missioni cattoliche dove in favore dei nostri connazionali sono impegnati 250 missionari, 200 suore e una settantina di operatori laici.

Pasolini, il viaggio magico nel Friuli e nell’Adriatico

Cent'anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, 1922 - 2022.di LUCIO GREGORETTIPier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo 1922, un anno destinato a lasciare un’impronta importante nella storia, a partire dalla presa del potere di Stalin e dalla marcia su Roma, il 28 di...

Il giramondo

Nel 1974 Haiti visse un momento di popolarità legato allo sport: si qualificò per il mondiale di calcio. Artefice del miracolo fu Ettore Trevisan.di PAOLO POSARELLIEttore Trevisan, triestino classe 1929, giramondo che ama intensamente il football. È stato sicuramente...

Quella villa dell’ultimo doge

L’edificio, iniziato nel Seicento, fu completato nei primi decenni del secolo seguente. Rieccheggia la palladiana con influenze rococò.di GIORGIO PACORLudovico Manin nacque il 14 maggio 1725. È stato il 120° e ultimo doge della Repubblica di Venezia, dal 9 marzo 1789...

Mušič, il viaggio della vita

La straordinaria avventura artistica e umana di Zoran Mušič, che seppe raccontare i sentimenti e le proprie emozioni da Marco Polo agli orrori di Dakau.di LUCIO GREGORETTIZoran Mušič "Dipingo per me, perché lo devo fare. Per me è un po’ come respirare. Se mi...

Omaggio a Tomizza

Sono passati trent’anni da quando Fulvio Tomizza venne premiato nella selezione del Campiello con “I rapporti colpevoli”. Giacomo Scotti ricorda il grande autore.di GIACOMO SCOTTIConobbi Fulvio Tomizza quand'era giovane e stava a Capodistria, giornalista. Lo rividi...

(Ri)partire

Il Rapporto Italiani nel Mondo redatto dalla Fondazione Migrantes è la miglior guida per conoscere la realtà degli italiani all’estero, ricco di inaspettate sfaccettature e sorprese.Fra le tanti pubblicazioni e libri che raccontano le nuove emigrazioni dei tempi...

Marcinelle / Per non dimenticare

  Marcinelle: il dovere della memoria   L’Associazione Clape nel Mondo ha rinnovato l’omaggio alle vittime della tragedia di Marcinelle. È stato un anniversario fra i più struggenti degli ultimi anni, per la presenza del Coro degli Alpini di Cividale che ha...

Fare sistema

Nuove opportunità economiche negli Stati Uniti.di RADA ORESCANINC'è un modo importante per valorizzare la presenza dei corregionali e dei connazionali che vivono all’estero: quello che promuove le relazioni economiche e che, quindi, in un quadro di reciprocità può...

I mosaici del Friuli all’Istituto italiano di cultura a New York

L’omaggio al lavoro italiano da Fedriga e Roberti, all’Istituto Italiano di Cultura.L'assessore regionale alle Autonomie Locali, Pierpaolo Roberti, ha inaugurato l’esposizione dei mosaicisti friulani Stefano Miotto e Giovanni Travisanutto, allestita all'interno...

Segni e sogni dell’emigrazione. Sogni e segni della vita.

Il sogno e la speranza ha accompagnato il viaggio di tanti italiani alla ricerca di una nuova vita. Ma è Carl Gustav Jung...di LIA SILVIA GREGORETTISegni e sogni dell’emigrazione: è il titolo di un’opera multimediale del 2009. I segni esprimono la valenza del migrare...