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19 May 2024
titolo legami

Le idee e le culture dell'emigrazione

Direttore: Lucio Gregoretti

Pasolini, il viaggio magico nel Friuli e nell’Adriatico

Legàmi Plus, Microcosmi

Cent’anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, 1922 – 2022.

di LUCIO GREGORETTI

Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo 1922, un anno destinato a lasciare un’impronta importante nella storia, a partire dalla presa del potere di Stalin e dalla marcia su Roma, il 28 di ottobre, a seguito della quale Mussolini riceve dal Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il nuovo governo.

Il poeta e regista muore il 22 novembre 1975, alcuni mesi dopo la fine della Guerra del Vietnam e pochi giorni prima della conclusione del Trattato di Osimo, con il quale vengono definiti i confini fra Italia e Jugoslava rimasti in sospeso dopo la seconda Guerra Mondiale. Nel suo, relativamente breve percorso di vita, egli attraversa le fasi più concitate del Novecento e di un Paese che da povero e rurale, distrutto dal conflitto e ricostruito, viene poi trasformato – e trasfigurato – dalla modernità sfrenata di cui egli diventa spettatore sempre più critico, nella condanna della civiltà tecnologica, colpevole di aver omologato e cancellato la ricca molteplicità delle culture.

Vive con lacerazione il cambiamento radicale dei costumi, giudicato “senz’anima”, nel quale anch’egli è travolto tanto da dire: “Io credo nel progresso, non credo nello sviluppo. E nella fattispecie in questo sviluppo. Ed è questo sviluppo, semmai, che dà alla mia natura gaia una svolta tremendamente triste, quasi tragica.” Da qui la constatazione amara, quasi un’infausta premonizione: “Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro. Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano.”

L’affanno, e con esso il conflitto straziante fra una sorta di nostalgia idilliaca di ciò che è stato e la complessità del divenire, si ritrova spesso nelle sue riflessioni: “L’uomo medio dei tempi del Leopardi poteva interiorizzare ancora la natura e l’umanità nella loro purezza ideale oggettivamente contenuta in esse; l’uomo medio di oggi può interiorizzare una Seicento o un frigorifero, oppure un week-end a Ostia”.

Pensieri che si ripetono mentre s’inabissa nell’impegno sempre più sfrenato. “Sto lavorando a tre sceneggiature, sto preparando un film di cui sarò il regista, sto correggendo le bozze di un volume di saggi di seicento pagine, sto organizzando un romanzo […], sto scrivendo versi e articoli, secondo le intermittenze e le ossessioni della vocazione del mestiere: non ho tempo neanche di respirare”: così scrive a Maria Antonietta Macciocchi, direttrice fra il 1956 e il 1961 della rivista Vie Nuove e a cui dà la disponibilità a tenere una rubrica di contatto con i lettori intitolata Dialoghi con Pasolini, collaborandovi con metodica costanza tra giugno 1960 e settembre 1965 con scritti sulle questioni più disparate, che vanno dalla letteratura alla religione, dalla politica al costume.

“Io sono una forza del Passato”, afferma con un filo di rimpianto nella Poesia in forma di rosa in cui traspaiono l’eco delle esperienze bolognesi e friulane: “Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli”. 

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Pasolini alla laguna di Grado.

 

Nel centenario della sua nascita non si lesinano giustamente gli apprezzamenti, anche esagerati, sino a essere considerato da molti uno dei più grandi intellettuali del Novecento. Certamente Pasolini è stato una personalità di valore, ma anche controversa, sicuramente anticonformista, a volte aspra e ruvida nei giudizi e nelle provocazioni letterarie e politiche; ha dato un contributo di riflessione rilevante e per certi versi visionario del divenire della società italiana alimentando condivisioni e divisioni. La sua produzione così ricca ed eclettica è uno scrigno prezioso in cui rovistare anche nei tempi attuali, nei quali l’approfondimento e la ricerca sono perlopiù sacrificati alle nuove logiche di breve respiro del tempo dei social che divorano le analisi e gli studi.

Per Pasolini, nel costante peregrinare della famiglia per i continui trasferimenti del padre, ufficiale dell’esercito, Casarsa è il luogo delle vacanze estive nella casa materna e l’approdo temporaneo e sicuro che diventa anche il riferimento essenziale negli anni della maturità. Vi arriva nell’inverno del ’28, durante l’arresto del genitore per debiti di gioco; l’anno dopo la famiglia si sposta a Sacile dove, iscritto al ginnasio, viene bocciato alla prova d’ammissione di italiano e deve ripeterla in ottobre. Dopo alterne vicende, nel 1942, la famiglia decide di sfollare ancora a Casarsa, ritenuta la sede giusta e tranquilla per attendere la fine della guerra.

Gli anni che seguiranno si snoderanno nella magia di quei luoghi e fra le tragedie di quel tempo. Il Basso Friuli diventa la patria elettiva, il “luogo ideale per le mie estetizzanti, mistiche fantasie”. I versi raccolti in un libretto intitolato Poesie a Casarsa, pubblicato a proprie spese nel luglio 1942, e che non sfugge all’attenzione di letterati come Alfonso Gatto e Gianfranco Contini, già rivelano le doti del ventenne Pier Paolo. Poesie scritte nello stanzone sopra l’antico deposito delle vinacce della distilleria del nonno materno, Meni (Domenico) Colussi dove, su carta di cellophane con inchiostro verde e col tubetto dell’ocra su una grossa tela di sacco, disegna campi, stalle e fienili e la corona azzurrina dei “massicci, muraglioni di monti contorti nel cielo e negri boschi”. Poesie in friulano perché afferma: “Fu attraverso il friulano che arrivai a capire un po’ del mondo reale contadino”.

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Nico Naldini (a sinistra) con Pasolini nel 1946.

 

L’amore per la poesia provenzale porta Pasolini a trascrivere le sue emozioni e sensazioni nella parlata locale, per la cui valorizzazione darà vita più tardi a una sua rivista letteraria: “L’idioma friulano di queste poesie non è quello genuino, ma quello dolcemente intriso di veneto che si parla nella sponda destra del Tagliamento; inoltre non poche sono le violenze che gli ho usato per costringerlo ad un metro e a una dizione poetica”. Basta pensare alla bellezza lirica di Sère imbarlumìde, tradotto dallo stesso Pasolini con “Sera mite all’ultimo barlume”, con cui si aprono i versi di Il Nìni Muàrt, “Il Fanciullo Morto”, per coglierne il pregio: “Sera mite all’ultimo barlume, nel fosso cresce l’acqua, una donna incinta cammina nel campo. Io ti ricordo, Narciso, tu avevi il colore della sera, quando le campane suonano a morto.”

È il tempo anche del primo grande trauma della sua vita: la morte del fratello minore Guido, partigiano cattolico ucciso nell’eccidio di Porzus nel febbraio 1945 per mano dei partigiani comunisti che combattevano per l’annessione del Friuli alla Repubblica jugoslava di Tito. La notizia gli arriva dopo la fine della guerra e lo travolge in uno strazio senza fine, come racconta in una lettera del 21 agosto a Luciano Serra: “La disgrazia che ha colpito mia madre e me, è come un’immensa, spaventosa montagna che abbiamo dovuto valicare (…). Non posso scrivere senza piangere, e tutti i pensieri mi vengono su confusamente come le lacrime. Dapprincipio non ho potuto provare che un orrore, una ripugnanza a vivere (…). Ora l’unico pensiero che mi consola non è l’idea che bisogna essere saggi, che bisogna superare e rassegnarsi; questa rassegnazione è egoismo; è crudele, disumana. (…) Bisognerebbe essere capaci di piangerlo sempre senza fine (…)”.

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Immagine di Pasolini dalla copertina del libro di Nico Naldini Breve vita di Pasolini, ed. Guanda.

Nico Naldini, cugino di Pier Paolo, figlio della sorella della madre, altro grande poeta e scrittore di queste terre, su di lui ha scritto una sorta di bibliografia, Mio cugino Pasolini, e ricorda bene l’emergere già allora di una personalità di talento: “Mise su una piccola scuola in casa, durante la guerra e io feci la quarta e la quinta ginnasio con lui. Era affa-sci-nante! È diventato famoso nel mondo grazie al suo valore pedagogico. L’insegnamento alla libertà del pensiero viene da lui e dalla sua scuoletta. La domenica c’erano delle riunioni, con altri amici, nella stanzetta di Pasolini: ciascuno diceva i suoi versi come in un’accademia. Pasolini aveva una tensione sempre vigile, il che determinava entusiasmo e vitalità”.

Sono gli anni in cui Naldini comincia a scrivere le prime pagine di letteratura: “Avevo 14 anni, scrivevo raccontini di prosa d’arte sui maggiolini che cadevano dagli alberi e morivano. Non avevo il coraggio di farli vedere a Pasolini, considerato senza nessuna retorica il genio nascente di famiglia. Fu mia nonna a farglieli leggere. Pasolini disse: però, niente male… Mi chiamò per una passeggiata in paese e mi spiegò che cosa significa essere scrittore, l’autonomia, l’originalità… Mi diede dei libri da leggere: Joyce, Rilke, un libro di critica su d’Annunzio… Dopo, sono andato a gran velocità con i poeti spagnoli, curati da Carlo Bo, con i lirici greci tradotti da Quasimodo, con i nuovi lirici di Anceschi…”. È Nico Naldini che, il 28 gennaio del 1950, all’alba, accompagna Pier Paolo Pasolini e la madre Susanna alla stazione di Casarsa. Salgono su un treno per Roma, che diventerà per sempre la loro nuova casa. Casa.

Pier Paolo Pasolini a Roma

PASOLINI. Roma, Pasolini in una borgata, nei primi anni 60.

 

A ricordare Pasolini come un giovane estremamente cordiale e modesto, adorato dalla gente del luogo è Pina Kalc, nella testimonianza raccolta dallo scrittore Giacomo Scotti e riportata nel libro Lungo le rotte della Serenissima. Pina è considerata la fidanzata di Pier Paolo Pasolini, la Dina del racconto autobiografico Atti impuri, dove viene rappresentata come disperatamente innamorata del giovane poeta.

Con questo testo, pubblicato postumo, Pasolini trasforma in romanzo la ricostruzione autobiografica affidata alle pagine “segrete” dei suoi diari, i famosi cinque “Quaderni rossi”, scritti dal maggio 1946 all’ottobre 1947, legati direttamente alle vicende della sua famiglia; alla scoperta dei suoi travagli emotivi; al contesto della guerra, anche con la tragedia della morte del fratello Guido; all’esperienza pedagogica con gli allievi di Versuta, mimetizzata sotto il nome di Viluta, così come Casarsa è ribattezzata in Castiglione, inframmezzate da suggestive pagine sul mondo contadino e la campagna friulana.

Nata a Villa Opicina, diplomatasi in violino a Trieste, nel 1936, Pina Kalc insegna per alcuni anni a Maribor, ma allo scoppio della guerra si trasferisce presso una sorella sposata in Friuli, a Casarsa della Delizia. Nonostante le simmetrie, Pina fatica a riconoscersi nella Dina del romanzo: “Benché siano molti gli elementi che concorrono a stabilire un accostamento – le lezioni di violino, le sonate di Bach, l’esperienza del coro… – io nego di essere la Dina: non posso completamente identificarmi nella protagonista del racconto pasoliniano. Eravamo entrambi giovani. Ci accomunava l’amore per la musica e la poesia, sicché fra di noi nacque subito un’amicizia affettuosa che si andò via via trasformando in un fecondo sodalizio”. A causa dei bombardamenti, entrambe le famiglie di Pier Paolo e di Pina si sono trasferite a Versutta, un paesino a pochi chilometri da Casarsa.

Ricorda Pina: “Egli era un organizzatore tenace e un animatore culturale insuperabile. Scriveva, disegnava, giocava al pallone con i ragazzi del paese, faceva traduzioni dal greco e dal latino in versi e in prosa, teneva in casa lezioni di letteratura italiana e lingua italiana per i ragazzi… Erano lezioni interessantissime. Partecipavo anch’io, per l’approccio originale che Pier Paolo aveva con alcuni poeti, particolarmente con il Carducci, che non riusciva a digerire. Anzi, non tralasciava occasione per renderlo oggetto di ilarità. A Versutta organizzò e condusse insieme a sua madre una vera e propria scuola per bambini più piccoli, le lezioni si tenevano in questa o quella casa o all’aperto”.

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Pasolini in uno dei suoi incontri.

 

Ecco come – a sua volta – lo stesso Pasolini descrive, usando la terza persona ma mantenendo il proprio nome, la sua esperienza di Versutta nel suo romanzo autobiografico Atti impuri: “Fin dall’ottobre del quarantatré, egli, pensando più al pericolo dei Tedeschi che a quello dei bombardamenti, aveva preso in affitto a Viluta, dopo interminabili discussioni con la Ilde, una specie di granaio, nel quale aveva già trasportato i suoi libri. Fu lì che Paolo e sua madre, per la seconda volta, sfollarono. Il trasloco fu lento e noioso, e Paolo dovette fare più volte la strada campestre tra Castiglione e Viluta spingendo una pesante carriola… Così il 16 ottobre Paolo e sua madre fecero il loro ingresso a Viluta; e un nuovo periodo della loro vita cominciava. Entrarono a Viluta come due giovani fratelli, o due fidanzati come molti credettero; del resto erano ambedue molto ingenui, aperti e affettuosi.”

“Da Castiglione a Viluta non c’è che un sentiero campestre; Viluta è in diretta comunicazione con San Pietro, frazione di Castiglione. Chi venga da là, dopo circa cinque o seicento metri vede una casa di contadini, dall’aspetto abbastanza antico, dietro due alti olmi: è la casa di T. Poi a sinistra, a poca distanza l’uno dall’altro, due casolari, nel secondo dei quali erano andati ad abitare Paolo e sua madre; un po’ più avanti si incontra una roggia, la Vila, il cui corso è seguito da una folla di ontani, sambuchi, salici, pioppi, e sulla cui corrente tersa e incolore erano stati piantati i lavatoi delle donne di Viluta. Ancora una cinquantina di metri, e si entra nel vero e proprio abitato di Viluta: una chiesetta che ha davanti un piccolo prato, e, intorno, cinque o sei case.”

In questa cronaca, i nomi dei paesi, come si è già detto, sono mimetizzati: Viluta sta per Versutta, San Pietro per San Giovanni, Castiglione per Casarsa, mentre Ilde è Ernesta Bazzana, che dette in affitto la casa. A Versutta, il 28 febbraio 1945, Pier Paolo fonda l’Academiuta di lengua furlana, dedicandola al fratello Guido, e coinvolgendo i suoi amici poeti, tutti lettori appassionati di Graziadio Isaia Ascoli, eminente linguista e glottologo. Nelle riunioni, che si tengono di domenica pomeriggio, si alterna la lettura dei versi con i brani musicali eseguiti da Pina Kalc.

Nello stesso anno esce il primo numero dello Stroligùt (Il Lunarietto), rivista ufficiale dell’Academiuta. L’aspirazione a creare una rivista letteraria, che aveva “inutilmente” impegnato Pasolini a Bologna nel progetto di Eredi, si concretizza, dunque, a Casarsa. Il sottotitolo “di cà da l’aga”, cioè al di qua del Tagliamento, si richiama all’aspirazione di elevare a dignità di lingua il friulano occidentale fino allora senza tradizione scritta: “per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore (…). Nessuno, è vero, lo ha mai usato per scrivere, esprimersi, cantare; ma non è neanche giusto pensare che, per questo motivo, debba sempre rimanere sotterrato nei vostri focolari, nei vostri campi, nei vostri stomaci”.

Nella sua visione, l’attenzione alla parlata locale è il fondamento della difesa delle matrici di ogni cultura autentica da preservare da ogni massificazione e omologazione. A ben vedere è ciò che poi farà con altri dialetti: il romanesco che si ritrova nei Ragazzi di vita e nell’Accattone o l’abruzzese del Vangelo secondo Matteo e le lingue e i dialetti africani e orientali dei suoi viaggi lontani nella cui scomparsa traspone il timore della fine immanente di ogni civiltà contadina e rurale in ogni parte del mondo. In fondo, vale per Pasolini ciò che afferma lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton secondo cui: “Tutti i dialetti sono metafore e tutte le metafore sono poesia. Terminata la guerra, com’era inevitabile, la stagione pasoliniana di Versutta e del Friuli andò progressivamente a disperdersi e le sue relazioni personali s’interruppero mentre gli si aprivano nuove prospettive.

Pier Paolo Pasolini

„Sono felice. Era tanto che non potevo dirlo: e cos’è che mi dà questo intimo, preciso senso di gioia, di leggerezza? Niente. O quasi. Un silenzio meraviglioso è intorno a me: la camera del mio albergo, in cui mi trovo da cinque minuti, dà su un grosso monte, verde verde, qualche casa modesta e normale”: è il 1959, l’anno del suo viaggio lungo le coste italiane che si chiude a Trieste, al Lazzaretto, raccontato ne La lunga strada di sabbia.

Tuttavia, anni dopo, negli Scritti corsari – in cui, poco prima della sua morte, raccoglie gli articoli dei suoi ultimi due anni – Pasolini torna a riflettere con uno spirito molto diverso e con un tratto marcato di criticità i temi della società moderna e consumistica che lo tormentano e l’inquietudine ostinata e combattiva che lo sprona e lo angustia: “Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare.”

In quel 1959 lungo l’Adriatico, è il tratto finale Venezia-Trieste che lo porta a riscoprire le sensazioni più forti e nostalgiche che lo richiamano al periodo della maturità friulana. Esattamente un decennio dopo, il primo febbraio 1969, gli stessi echi si ritrovano nell’articolo sul suo viaggio in Istria che manda al settimanale Tempo, su cui tiene una rubrica di riflessioni dall’agosto 1968 al gennaio 1970; testi che saranno raccolti in un volume, Caos, con la prefazione di Gian Carlo Ferretti.

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Pasolini assieme al grande artista Zigaina nella laguna di Grado.

 

L’Istria del viaggio del 1969 è vista come una terra magica, dove un uomo sensibilissimo di grande intelligenza, disperato e complicato come Pier Paolo Pasolini, ritiene di fare “esperienza di un’altra vita, di un’antica vita”. L’esperienza istriana risveglia il contrasto che egli vive fra l’essere in un territorio ancora preservato e il vissuto dell’Italia che si sta contaminando. Pasolini è ossessionato, in quel periodo, dalla minaccia incombente dell’avvento di un “universo orrendo” del potere e del consumo, che “inesorabilmente corrompe ogni civiltà passata e inevitabilmente contagia ogni suo oppositore fino a coincidere con l’intero mondo”.

Da tempo Pasolini fa parte delle personalità intellettuali più autorevoli, conosciuto come scrittore, poeta, regista e saggista radicale e militante. Il periodo del suo viaggio in Istria è particolarmente fecondo: da un anno è uscito Teorema, lavora sul film Medea, l’anno dopo scrive la sceneggiatura di dieci novelle tratte dal Decameron ambientandole nella realtà napoletana, due anni dopo appare la raccolta poetica Trasumanar e Organizzar. Tuttavia guarda all’affermazione personale e a quella delle sue opere con lo spirito disincantato che gli è proprio. Dichiara a Enzo Biagi in un’intervista per la puntata del 27 luglio 1971 del programma televisivo Terza B, intervista che invece non andò mai in onda e da cui si può cogliere la scala dei suoi valori : “Il successo non è niente. Il successo è l’altra faccia della persecuzione. E poi il successo è sempre una cosa brutta per un uomo.”

La ricerca delle radici, il contrasto fra la logica del potere e il sacro, il mondo arcaico sovrapposto a quello consumistico si ritrovano soprattutto nei suoi documentari e nei suoi film, nei quali dominano figure retoriche di forte potenza espressiva. Si adatta a Pasolini l’asserto delle Poetiche di Aristotele: “La cosa di gran lunga più eccelsa è essere maestro della metafora. È una cosa che non si può apprendere da altri; è un segno del genio.” Il film Medea ne è l’esempio.

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Pasolini con la Callas sul set di Medea.

 

Rileva la critica cinematografica: “Nel rinnovare il mito di Medea, donna straniera in una terra che non l’accetta e nella rappresentazione della convivenza impossibile con Giasone, si dispiega pienamente la sua capacità di alimentare uno sguardo visionario lungo il dipanarsi della tragedia di Euripide che diventa il marchio, la chiave di lettura, della trama storica nello scenario del vagheggiato passato arcaico. Giasone incarna l’opportunismo e il potere (il materialismo del mondo industrializzato), Medea la logica del sacro (la sacralità del mondo). Proprio il desiderio di potere spinge Giasone a prendere il Vello d’oro per il popolo della Colchide, e in seguito a ripudiare Medea per sposare la figlia del re di Corinto”.  La morale è che queste due visioni contrapposte della vita devono, invece, poter coesistere pacificamente: l’unico modo per l’umanità per crescere e non distruggersi è quindi proprio quello di coniugare arcaico e moderno, passione e ideologia, sacralità e materialismo, razionalità e irrazionalità.

Per una parte delle riprese, Pasolini sceglie Grado, colpito dalla suggestione dei luoghi della laguna a cui viene introdotto dall’amico Giuseppe Zigaina. I due si conoscono dalla primavera del 1946. Pasolini, che ama molto dipingere, scrive in quegli anni d’arte figurativa, comprese alcune recensioni alle prime mostre di Zigaina, e nel 1947 gli dedica alcuni articoli nell’ambito di una importante rassegna consacrata al ritratto dove i due amici si trovavano insieme ad esporre.

Poco dopo la metà del luglio 1969, Pasolini si trasferisce a Grado con una troupe formata da una sessantina di persone, dove ottiene in concessione dal Comune un casone, in cui passerà parecchio tempo a disegnare sulla carta paesaggi, sfumate figure. La laguna è il palcoscenico ideale per le scene che aprono il film, quelle in cui il Centauro Chirone delinea per Giasone, prima bambino e poi adolescente, gli orizzonti arcani del suo vivere. E poi le sequenze in cui gli Argonauti piantano l’accampamento vicino a una città della Tessaglia, Jolco, quando tornano dalla Colchide con il leggendario Vello d’oro.

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Pasolini con la Callas sul set di Medea.

 

A Grado scende anche una delle più grandi stelle della lirica, Maria Callas, voluta da Pasolini come interprete del personaggio di Medea, con i suoi due cagnolini e la fidata segretaria Nadia Stancioff, che sarà anche sua controfigura nel film. La sera del suo arrivo, il 20 luglio del 1969, riesce a evitare i paparazzi scegliendo il momento in cui tutti gli sguardi sono puntati sul contemporaneo sbarco sulla luna. La sceglie perché: “Lei [la Callas] appartiene a un mondo contadino, greco, agrario, e poi si è educata per una civiltà borghese. Dunque in un certo senso ho cercato di concentrare nel suo personaggio la complessità di Medea”.

Pasolini non è un grande appassionato di lirica, libero da suggestioni, dopo un iniziale diffidenza fra loro si sviluppa un particolare e profondo legame che sul set di trasforma in “un’affinità psichica”, come la definisce il regista. Lei è reduce dalla delusione che le ha inflitto l’armatore greco Aristotele Onassis il quale, dopo una relazione durata quasi nove anni ha sposato al suo posto a sorpresa Jacqueline Kennedy, spezzandole il cuore. Secondo i ricordi di molti, anche Pier Paolo Pasolini è disperato perché aveva perso ogni speranza con Ninetto Davoli, il suo attore di ispirazione, ventunenne, di cui si sarebbe innamorato quando aveva solo 14 anni.

Al di là delle diverse interpretazioni, la storia di questo rapporto fra il regista e l’attrice è nota e in essa si alimentano crudelmente le illusioni della cantante greca, che aspetta a lungo da lui una proposta di matrimonio che, ovviamente, non arriva in quanto, come scrisse Zigaina, amico ma anche confidente della Callas, essa non capiva la natura dei sentimenti solo di profondo affetto che il Pasolini nutriva per lei. Restano mirabili 14 ritratti di Maria e dieci poesie a lei ispirate, composte da Pasolini.

Pier Paolo Pasolini, Enrique Irazoqui e Maurizio Lucidi

PASOLINI. Pier Paolo Pasolini e Enrique Irazoqui, in un momento di pausa, dinanzi allo struggente paesaggio dei Sassi. Sullo sfondo a destra seduto, Maurizio Lucidi, aiuto regista.

 

Maria Callas in quei versi, pubblicati nella raccolta Transumanar e Organizzar, non è mai nominata, eppure è lei la “ragazza ancora orgogliosa di essere di città e piena della morale antica”. Entrambi vivono una fine tragica. Pasolini ucciso sul lido di Ostia, nella notte fra il giorno dei Santi e quello dei morti del 1975, e la Callas nella notte fra il 15 e il 16 settembre del 1977, probabilmente suicida per ingestione di sonnifero, anche se il medico parlerà di collasso cardiocircolatorio.

L’amico Zigaina, così descrive l’approccio di Pasolini di fronte alla laguna di Grado che “quel giorno, aveva deciso di apparire splendente e misteriosa più del solito” in un racconto intitolato Medea: “Alla fine del Taglio Nuovo, orlato di olmi e tamerici, la luminosità davanti a noi divenne più intensa; e quasi in controluce ci apparve l’isola di Anfora. Ma solo dopo aver lasciato sulla dritta i due casoni del Safon si delinearono con certezza le bricole d’ingresso al porticciolo. Si sentiva bene. Cominciò a sorridere e a parlare. Stiracchiando le braccia disse: ‘Qui girerò Medea’”.

Forse il suo orizzonte in quel momento si è riempito anche della commozione e dei turbamenti che gli suscitavano le dune e le pozze del Tagliamento, di quel Friuli, sensuale e nostalgico, che porta con sé “l’odore di terra romanza”. Ripensando al Tagliamento e alla laguna, sicuramente gli sarebbe piaciuta una poesia del gradese Biagio Marin, ripresa da Magris nel suo Danubio: “Fa che la morte mia, Signor, la sia comò ‘l score de un fiume in t’el mar grando, comò la melodia de la dosana [la marea] che de quando in quando a ridosso de un faro la pianzota per un momento, e la va via apena co’ un lamento verso l’averto, sensa lota”.

Pier Paolo Pasolini

PASOLINI. Pier Paolo Pasolini, Autoritratto.

Fa’ che la morte mia, Signore, sia come il fluire di un fiume nel mare grande, come la melodia della marea che di quando in quando a ridosso di un faro piagnucola per un momento, e va via appena con un lamento verso l’aperto, senza lotta.
Fa’ che il mio ultimo respiro si posi sul mondo ancora chiaro, come il maestrale estivo nei ponenti cala senza amaro. Tienimi sempre vivo, che possa ringraziarti delle ore di pena e di quelle beate e della luce, Signore, mia gioia piena, d’ogni mio canto nell’aria serena.
Biagio Marin
Canti de l’isola

 

Pier Paolo Pasolini, 1922-2022

Poco dopo la metà del luglio 1969, Pasolini si trasferisce a Grado con una troupe formata da una sessantina di persone, dove ottiene in concessione dal Comune un casone in cui passerà parecchio tempo a disegnare sulla carta paesaggi, sfumate figure. La laguna è il palcoscenico ideale per le scene che aprono il film Medea, quelle in cui il Centauro Chirone delinea per Giasone, prima bambino e poi adolescente, gli orizzonti arcani del suo vivere. E poi le sequenze in cui gli Argonauti piantano l’accampamento vicino a una città della Tessaglia, Jolco, quando tornano dalla Colchide con il leggendario Vello d’oro.

Coincidenza vuole che sullo stesso litorale, poco distante, si incardini un luogo singolare della leggenda e dei miti più antichi, compresa una delle tante interpretazioni del viaggio di Giasone. Si ritiene che Noè, circa cent’anni dopo essere uscito dall’arca miracolosa, abbia mandato una colonia d’abitatori condotta da Giafet, suo figlio maggiore, a popolare l’Europa e che questi, sbarcato sul fiume Timavo, si sistemò in questo territorio edificando la città di Giapidia.

Ma anche gli Argonauti, secondo una versione, sono collegati alle foci di questo fiume al limitare della piana del Lisert di Monfalcone. Giasone, dopo la conquista del Vello d’Oro, fugge con Medea dal Mar Nero navigando, sul Danubio e sulla Sava, sino all’attuale Lubiana. Quindi valica le Alpi ed il Carso, portandosi sulle spalle la nave fino, appunto, al Timavo, per rimontarla e ritornare in Tessaglia.

Pasolini, arrivato alla laguna di Grado, disse: ‘Qui girerò Medea’”. Forse il suo orizzonte in quel momento si sarà riempito anche della commozione e dei turbamenti che gli suscitavano le dune e le pozze del Tagliamento della sua esperienza in Friuli.

 

Centenario di Pier Paolo Pasolini

 

 

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