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18 November 2025
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Le idee e le culture dell'emigrazione

Direttore: Lia Silvia Gregoretti

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Categoria 9 In primo piano 9 La diaspora della popolazione della Slavia friulana

La diaspora della popolazione della Slavia friulana

La diaspora della popolazione della Slavia friulana

L’emigrazione costituisce per la Slavia una delle pagine più laceranti della sua storia.

di FERRUCCIO CLAVORA

Non è possibile trattare la Storia d’Italia, ed in particolare quella delle Valli del Natisone, trascurando uno dei fenomeni di massa di maggiore rilievo. È fuori dubbio che l’emigrazione costituisce, per la Slavia, una delle pagine più dolorose della sua storia. Raccontare le tormentate vicissitudini che hanno segnato le vie della diaspora, non significa trattare di un aspetto marginale della vita di questa comunità, ma piuttosto indagare su uno dei nodi essenziali – causa o effetto? – della sua problematica collocazione nel contesto statale italiano, in particolare nel secondo dopoguerra.

Mentre nel resto del Friuli l’emigrazione era un fenomeno consolidato da tempo, nel distretto di San Pietro al Natisone costituiva per lo più un fenomeno stagionale. A frenare e ritardare l’avvio di un’emigrazione definitiva non erano le condizioni economiche, che non erano certo migliori che altrove, bensì i legami profondi con consuetudini e modi di vivere ereditati dal periodo patriarcale: il tradizionale modello di vita era stato conservato gelosamente e si era mantenuto, anche per forza d’inerzia.

La popolazione della Slavia non sceglieva la via dell’emigrazione per risolvere i problemi posti da una condizione socioeconomica certamente difficile, proprio per il suo attaccamento ad una realtà particolare, le cui caratteristiche avevano determinato la forte coscienza identitaria della comunità. È partendo da questa premessa che va analizzata la storia dell’emigrazione dalla Slavia e cioè dalla presa d’atto dell’indiscutibile diversità socio-culturale di questa popolazione, della sua capacità di autogestione amministrativa, giudiziaria ed economica, del suo attaccamento alla propria terra, alla propria cultura ed alla propria lingua, della saldezza dei fondamenti morali e spirituali del suo modo di essere.

 

Casa nelle Valli del Natisone, foto di Riccardo Toffoletti
Valli del Natisone, foto di Riccardo Toffoletti.

VALLI DEL NATISONE. Immagini di Riccardo Toffoletti tratte dalla mostra Dentro i paesi – Valli del Natisone 1968, il reportage di Toffoletti sulle Valli che il Centro Studi Nediža riportò alla luce nel 2007.

I primi emigranti dalla Slavia andarono in Croazia, Romania, Austria, Germania e Russia. Generalmente trovarono lavoro nella costruzione delle ferrovie e nelle fornaci. Più spesso facevano i commercianti girovaghi, lasciando le famiglie ad aspettare il loro ritorno. Questo modo di intendere l’emigrazione permise alla comunità locale di evitare la sorte delle migliaia di famiglie friulane che, incoraggiate dalla diffusione di notizie non controllabili circa le reali possibilità d’inserimento in Paesi lontani e sconosciuti, partirono verso l’America del Sud, dove trovarono condizioni di vita ancora peggiori di quelle lasciate in Patria.

Agli inizi del secolo XX, però, anche nel distretto di San Pietro al Natisone, sia pure in termini quantitativi sempre molto limitati, cominciò a diffondersi l’emigrazione verso l’America del Nord, dove c’erano possibilità di occupazione nel settore edilizio e ferroviario. È Francesco Musoni a spiegare le ragioni di questa bassa percentuale di emigranti – anche stagionali – dal territorio della Slavia, dovuta “in parte al temperamento degli Slavi che la abitano, abituati a una vita tranquilla e patriarcale, non tormentati da soverchi bisogni, incapaci perciò di decidersi ad abbandonare per lunghi mesi la famiglia, sia pur per migliorare la propria condizione”.

La situazione non mutò sostanzialmente negli anni successivi, durante i quali si registrò un continuo aumento della popolazione. La crescita demografica era consentita dal sostanziale equilibrio tra produzione e consumo nel settore dell’agricoltura, con un surplus la cui vendita garantiva un reddito sufficiente. Questo si verificava nonostante il forte frazionamento della proprietà, tanto che non si trovava un solo grande proprietario terriero e anche quelli medi in grado di prosperare erano in numero esiguo. Ogni famiglia aveva, però, la sua casetta e il suo pezzo di terra da coltivare.

 

Tabella con la crescita demografica in Italia dal 1871 al 2020 e la parallela drastica decrescita in Slavia.

VALLI DEL NATISONE. Tabella con la crescita demografica in Italia dal 1871 al 2020 e la parallela drastica decrescita in Slavia.

Gli abitanti della Slavia erano poveri, ma sobri e laboriosi. Lavoravano a mano il proprio campicello, dissodandolo senza lesinare fatica, rafforzandolo con muretti, spianando anche la terra in mezzo alle rocce. Dove non si poteva coltivare il grano, si producevano castagne e frutta (pere, mele, susine). Altre risorse fondamentali erano la legna da ardere, che veniva venduta, ed il foraggio con cui erano alimentate le poche mucche che comunque garantivano latte, burro e formaggio. Sulle colline si coltivava con un certo successo la vite, cha dava vini dal sapore asprigno, mentre nelle zone più alte si viveva esclusivamente di pastorizia. Poche erano le famiglie che non producevano grappa. Quando, da questa vita di stenti, avanzava qualche soldo, dopo aver pagato le imposte, la famiglia comperava il maiale, il cui possesso rappresentava un primo segno di benessere.

Si mantenne, così, un precario equilibrio, nonostante l’arretratezza complessiva del settore, dovuta anche alla mancanza di adeguati strumenti di lavoro e di tecniche razionali ed aggiornate. L’artigianato, dal canto suo, continuava la tradizionale produzione di utensili per cucina e attrezzi agricoli in legno, che venivano commercializzati in tutta la provincia. Il settore produttivo industriale era imperniato principalmente sulle cave di pietra piacentina ma entrò in crisi con lo sviluppo dell’industria del cemento a Cividale e Udine.

La prima Guerra Mondiale assestò un duro colpo alla già debole economia locale, sconvolgendo la maggior parte delle poche infrastrutture esistenti. Al termine del conflitto, intervennero, inoltre, una serie di scelte imposte dall’alto, che incrinarono la relativa tenuta del settore agricolo e crearono le premesse per un abbandono del territorio, processo frenato solo dal blocco dell’immigrazione nei Paesi americani e dalle politiche nazionali di ostacolo all’emigrazione verso l’estero.

 

Ragazzino delle Valli del Natisone, foto di Riccardo Toffoletti.

VALLI DEL NATISONE. Immagini di Riccardo Toffoletti tratte dalla mostra Dentro i paesi – Valli del Natisone 1968, il reportage di Toffoletti sulle Valli che il Centro studi Nediža riportò alla luce nel 2007.

Nel 1921 la popolazione della Slavia toccò il suo massimo storico: 17.640 abitanti. Iniziò una nuova fase nell’evoluzione demografica del territorio, che non si modificherà più fino ai giorni nostri, condizionata da fattori che muteranno coll’andar del tempo e delle strategie economiche dei Governi, ma che sortiranno gli stessi effetti negativi per la comunità. In quel periodo prese l’avvio un movimento migratorio interno ed entrò in crisi il processo di crescita naturale della popolazione.

Ai fattori già descritti, che determinarono la costante diminuzione della popolazione della Slavia, si deve aggiungere l’effetto negativo dell’inasprimento della politica del regime fascista che, opprimendo la libera espressione dell’identità, generò una situazione d’insicurezza che ostacolò la programmazione di un sereno futuro comunitario. Un gruppo sociale, infatti, non può svilupparsi socialmente ed economicamente se non ha una forte coscienza della propria specifica identità, legata ad un territorio, una storia, una cultura.

Nelle famiglie, nelle relazioni sociali, in tutte le manifestazioni della vita quotidiana, la lingua parlata dalla comunità continuava ad essere quella tramandata da secoli. In particolare, le autorità ecclesiastiche favorivano la diffusione di catechismi, messali, testi religiosi in una lingua che assumeva i crismi di una prima standardizzazione, ma, nello stesso tempo, era comprensibile alla popolazione.

 

Vita di comunità nelle Valli del Natisone, foto di Riccardo Toffoletti.

 

La seconda Guerra Mondiale, anche se non provocò le distruzioni materiali verificatesi in occasione del precedente conflitto, appesantì ulteriormente la situazione, lasciando tanti giovani valligiani sui campi di battaglia d’Europa e d’Africa. Il settore dell’agricoltura, con la sua estrema frammentazione, se produceva un reddito sufficiente per la sopravvivenza nell’economia tradizionale, in un sistema sempre più aperto e competitivo non era più in grado di costituire quel “fondo di resistenza” che, nel passato, aveva permesso di superare tante crisi e garantito la permanenza in loco di buona parte della popolazione.

Nello stesso periodo, l’emigrazione diventò a livello statale, strumento programmatico della politica economica del Governo. In quegli anni furono scritte le pagine più drammatiche dell’emigrazione dalla Slavia: in pochi anni, centinaia di uomini giovani, sani e robusti lasciarono le verdi valli della loro infanzia per essere inghiottiti, molti per sempre, dalle oscure viscere delle miniere del Belgio. Dal 1946 al 1950, i paesini della Slavia si svuotarono della loro linfa vitale.

Dopo aver combattuto una lunga guerra, lontano dalla propria terra, per una Patria che ancora non li riconosceva, molti giovani lasciarono le sponde del Natisone ed i pendii del Matajur per ritrovarsi nei grigi quartieri della città minerarie belghe. A casa erano rimasti i bambini, i vecchi, le donne. A questi bisognava pensare, per questi bisognava lavorare, nel buco maledetto, con la morte nell’anima.

 

Ragazzino delle Valli del Natisone, foto di Riccardo Toffoletti.

DENTRO I PAESI. “(…) sembrerebbero felici, senza problemi apparenti. Ma risalendo queste Valli, guardando oltre le apparenze delle cose subito ci si accorge che il verde dei monti e la pace riposante delle Valli, nascondono il progressivo abbandono dell’uomo, le crepe che spesso fendono i muri, la lentissima morte di tanti paesi un tempo fiorenti.

Anziano delle Valli del Natisone, foto di Riccardo Toffoletti.

 

Nella seconda metà degli anni ’50, decollò il polo di sviluppo della pianura friulana che attrasse la restante manodopera delle aree circostanti. La Slavia rimase sempre più prigioniera della sua programmata emarginazione. L’estenuante esperienza del pendolarismo di massa, che durò per alcuni anni, mascherava statisticamente uno spopolamento di fatto del territorio ed era il preludio dell’abbandono definitivo della propria terra.

Dopo il 1961 il fenomeno apparve in tutta la sua consistenza numerica, facendo registrare, nel decennio 1961-1971, un calo della popolazione residente pari al 32,4 % . Da allora l’emorragia continua, lenta, ma costante ed inarrestabile. La tendenza al degrado non si fermerà più. Per capire la straordinaria portata di questo movimento di popolazione, basti ricordare che al 12 dicembre 2015 gli italiani nel nostro Paese erano 60.665.551 milioni, a fronte di 60/65 milioni di persone di origine italiana residenti fuori dai confini della Patria: tra questi 4.636.647 erano cittadini italiani, cioè persone formalmente in possesso della cittadinanza. Alla stessa data, gli iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) del Friuli Venezia Giulia erano 167.170, su una popolazione regionale di 1.221.218 abitanti.

Non servono lunghe disquisizioni per far comprendere l’importanza di questi numeri per l’economia italiana, per il made in Italy o il made in Friuli, per l’esportazione di prodotti italiani e friulani verso questo target di consumatori e promotori, per creare collegamenti commerciali e culturali ad alto valore aggiunto. In altre parole, gli “italiani d’origine”, queste decine di milioni di cittadini del mondo, sono un importante prolungamento del mercato italiano, con consistenti ricadute positive sia sul mercato del lavoro che sull’entrata di valuta.

A questo proposito non va dimenticato che sono state le “rimesse” degli emigrati a tenere in equilibrio, fino alla metà degli anni ’70, la Bilancia dei Pagamenti italiana. Per quanto ci riguarda più da vicino, a pochi è noto che il primo Comune delle Valli è, oggi, per numero d’iscritti, quello dell’AIRE, con 2.264 cittadini. Si tratta di un “Comune” leggermente più popoloso di quello di San Pietro al Natisone (2.107 abitanti), ma che supera ampiamente quello di San Leonardo con i suoi 1.061 abitanti. Emblematico il caso del Comune di Drenchia che, con 102 residenti, si ritrova 214 iscritti all’AIRE.

 

Riccardo Toffoletti, fotografo

RICCARDO TOFFOLETTI. Nel 1967-68 Toffoletti realizzò nelle Valli del Natisone un efficace reportage fatto di immagini e dialoghi con gli abitanti. Trasformato in mostra, mise in luce l’impegno nel rinnovamento della didattica e nella salvaguardia dell’identità comunitaria della Benecia.

Questi dati ci portano a considerare che, al 31 dicembre 2020, la popolazione complessiva della Slavia è di 7.387 persone, di cui 5.123 residenti nei sette Comuni e 2.264 all’estero. Con riferimento alla questione della reale consistenza della Slavia – e del suo effettivo peso socio-economico e politico – andrebbe aperta una riflessione anche su quella parte di popolazione, certamente ancora più consistente di quella dell’AIRE, residente in Italia ma fuori dal territorio di storico insediamento. D’altra parte, però, per avere una stima reale del residuo numero degli autoctoni della Slavia, dal numero complessivo dei residenti nei 7 Comuni delle Valli, andrebbero tolti sia i cittadini stranieri che quella parte della popolazione originaria da altre regioni d’Italia: friulani, veneti, siciliani, calabresi, ecc. La drammaticità della situazione demografica della Slavia sarebbe ulteriormente evidenziata.

Da questi dati si può trarre una prima conclusione: socialmente, culturalmente, economicamente e politicamente, questa presenza nel mondo è indubbiamente rilevante. Molto ci sarebbe da dire sull’attenzione che dalle Istituzioni, ai vari livelli, viene dedicata a questo considerevole segmento della cittadinanza, ma questo è un altro discorso che andrebbe affrontato prima che si spezzi il cordone ombelicale che ancora lega questa “comunità extraterritoriale” alla sua terra di origine.

Quello dell’emigrazione è un argomento che dovrebbe trovare posto nei programmi scolastici, non solo perché consente di affrontare gli aspetti storici, geografici, sociali, economici, giuridici, religiosi… dello sviluppo della società italiana, ma anche perché fornisce elementi di riflessione molto utili su uno degli argomenti più significativi e complessi con il quale il nostro Paese, il Friuli e la Slavia devono confrontarsi oggi: quello dell’accoglienza dei nuovi immigrati, che sempre più saranno presenti anche nei paesini delle valli del Natisone. Conoscere e meditare la storia, le vicissitudini e le problematiche dell’integrazione positiva – anche se non sempre facile – vissuta dai “nostri” emigrati nei vari contesti nei quali si sono trovati a vivere con le loro famiglie, ci permette di definire meglio le politiche da porre in essere nei confronti degli immigrati in casa nostra. In effetti, fino al 1970, l’Italia e il Friuli erano terre di emigrazione; ora sono – e saranno per un lungo periodo – terre di immigrazione.

Per la Slavia, reale è la prospettiva di un radicale mutamento della sua caratterizzazione identitaria con la scomparsa del suo storico sostrato antropologico e la sua sostituzione con i nuovi arrivati, complice la fallimentare legislazione di tutela. Pochi anni fa, venivano sempre meno utilizzati i termini quali “emigrazione”, “emigrante”, “emigrato”, ecc. e sostituiti da un’espressione come “mobilità internazionale della forza lavoro, che assegnava ai soggetti indicati – il giovane laureato con la valigetta del computer e non quello vecchia di cartone – una valenza diversa. Oggi, con l’arrivo massiccio di queste nuove, incontrollate ondate di persone disperate alla ricerca di una condizione di vita migliore riprendono forza i concetti considerati superati. Per questo, è interessante ricordare il vissuto degli emigranti che lasciavano la Slavia e le loro aspettative.

Quando lascia la terra natia, il migrante perde praticamente ogni contatto con la realtà economica, sociale, culturale e politica del comprensorio di origine. Gli rimane l’illusione di un rapido rientro, la nostalgia di una comunità che con il passare degli anni acquisisce, esaltata dalla distanza e dalla mancanza di informazioni obbiettive, una fisionomia irreale. Le “Valli” diventano un paradiso, un miraggio, nel quale specchiare le proprie delusioni e frustrazioni e dove dimostrare, in occasione dei rientri per le ferie, ai parenti e amici rimasti, i propri spesso illusori successi.

 

Dentro i paesi
la fotografia di Riccardo Toffoletti

 

Dieci anni fa moriva Riccardo Toffoletti, lasciando un archivio di immagini, progetti e idee. Grande fotografo e instancabile animatore culturale ha saputo interpretare la realtà delle Valli del Natisone.

Nel 1967-68 Toffoletti realizzò nelle Valli un efficace reportage fatto di immagini e dialoghi con gli abitanti. Trasformato in mostra, mise in luce l’impegno nel rinnovamento della didattica e nella salvaguardia dell’identità comunitaria della Benecia

 

Riccardo Toffoletti 

Valli del Natisone e Ozzano Taro – immagini, cose e parole – saranno al centro della mostra, tratta dall’archivio del Comitato Tina Modotti, che il 21 agosto verrà dedicata in Palazzo Frisacco di Tolmezzo a Riccardo Toffoletti, a cura dei Circoli fotografici della Carnia in collaborazione con il Circolo culturale Nediža.

Fotografo di riconosciuto talento, Toffoletti, nato a Udine nel 1936, aveva fondato nel capoluogo friulano il Comitato Tina Modotti del quale cui era l’anima, e dai primi anni Settanta si era impegnato per la conoscenza e la valorizzazione della vita e delle opere dell’artista udinese morta a Città del Messico.

 

L'invito della mostra dedicata a Riccardo Toffoletti e intitolata

ARTISTA. L’invito della mostra Un mondo alla rovescia, dedicata a Riccardo Toffoletti.

 

 

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