„Dovevamo mangiare con un cappuccio in testa, che in nessun momento potevamo togliere. Dovevamo stare sdraiati tutto il giorno, non potevamo parlare con nessuno, non potevamo sederci, o per sederci dovevamo chiedere il permesso alla guardia che era lì, per andare al bagno dovevamo chiedere alla guardia di accompagnarci. La sera, ci portavano a fare la doccia per tre minuti e non di più, perché altrimenti la punizione sarebbe arrivata automaticamente”. Testimonianza di un sopravvissuto, Processo Esma II, 2009-2011.
di LUCIO GREGORETTI
Né vivi, né morti, semplicemente scomparsi. È nel cinismo di quel „semplicemente” pronunciato dal presidente argentino, il generale Jorge Rafael Vileda, che si compendia il dramma di migliaia di persone. Vileda che sta rispondendo alla domanda di cosa stia succedendo nel Paese e dove si trovino tante persone disse: „Sono proprio questo… semplicemente desaparecidos”.
Goimiro Princic era nato a Cosana, nel Collio goriziano, il 13 febbraio 1925; emigrato in Argentina, fu uno dei primi a sparire dopo il colpo di Stato del 24 marzo 1976. Nella notte tra il 18 e il 19 aprile 1976 venne sequestrato a Buenos Aires. Di lui non si ebbe più notizia, inghiottito nel nulla. Le sue convinzioni politiche lo avevano portato a militare nei giovani del Partito Peronista Autentico, che si incontravano nell’Unità di base peronista di Bartolomé Mitre, Florida, provincia di Buenos Aires.
Inghiottito nel nulla proprio come Ivo Ukmar, nato a Comeno, allora italiana, impiegato nelle ferrovie e sequestrato a Temperley, sobborgo della capitale argentina, il 2 agosto del 1979. Desaparecidos il triestino Boris Blazina, nato a Sgonico nel 1934 e scomparso a Mar del Plata il 3 giugno 1977. Scomparsa Elena Codan, nata a Trieste nel 1946, desparecida a Buenos Aires, come tanti altri corregionali e italiani nel Paese, l’Argentina, dove una parte rilevante dei suoi 25 milioni di abitanti riconosce una qualche discendenza italiana.
Era l’una di notte del 24 marzo 1976, quando il generale José Rogelio Villareal andò a comunicare alla allora presidente Isabel Martínez de Perón: „Signora, le Forze armate hanno preso il controllo politico del Paese. Lei è in arresto”. Isabella, Isabelita come veniva chiamata, era la terza moglie del presidente Juan Perón, di cui divenne vicepresidente durante il terzo mandato del popolare leader a cui si ispira ancora oggi il più importante movimento politico. Fu la prima Capo di Stato repubblicano donna nel mondo.

ESMA. L’ingresso dell’ESMA, divenuto museo della memoria per la difesa dei diritti umani (da museositioesma.gob.ar)
Quando ci fu il golpe l’Argentina attraversava una grave crisi economica, politica e sociale. Nei primi mesi del 1976 a Buenos Aires ogni cinque ore si commetteva un assassinio politico, ogni tre esplodeva una bomba. Era successo che alla morte di Perón il fronte peronista si era diviso: da un lato i sostenitori della moglie, succedutagli al potere, dall’altro coloro che preferirono tornare alla guerriglia di strada e alla resistenza clandestina.
Il punto di rottura avvenne con la nomina di Celestino Rodrigo a ministro dell’economia,che adottò una politica di rigore che ebbe come conseguenza il raddoppio delle tariffe e il dimezzamento del valore della moneta argentina, il peso. Chi poteva convertiva i propri valori in dollari americani. I prezzi al consumo raddoppiarono solo tra maggio e agosto 1975: lo shock risultante venne ribattezzato come Rodrigazo, dal nome del ministro e accese la protesta in tutto il Paese.
Insomma, un periodo di tensioni determinate da inflazione, crisi sindacale, violenza e ingovernabilità. Ma ciò che stava per arrivare aveva connotati ancor peggiori. Il controllo del Paese fu assunto da una triade di comandanti: il tenente generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il generale di brigata Orlando Agosti. Venne subito limitata l’azione dei partiti e del Parlamento, deciso l’annullamento di tutte le attività politiche e sindacali, la presa in carica della Corte di Giustizia, la censura, l’abolizione della libertà di stampa e di espressione.
Il „Proceso de reorganización nacional” annunciato dai militari si fondava sull’installazione di un sistema economico neoliberista e la repressione di tutti gli oppositori. Fu il maggior genocidio nella storia del Paese: 30 mila desaparecidos e 500 bambini rubati, secondo le madri di Plaza de Mayo. Imperturbabile e implacabile, così nel 1977 Videla aveva spiegato la situazione del Paese: „In ogni guerra ci sono persone che sopravvivono, altre che rimangono invalide, altre che muoiono e altre che spariscono. L’Argentina è in guerra e la sparizione di alcune persone è una conseguenza non desiderata di questa guerra”.

BUENOS AIRES. La prima delle manifestazioni delle Madri di Plaza de Mayo di fronte alla Casa Rosada.
Videla venne deposto dal generale Leopoldo Galtieri, nel 1981, a sua volta fatto cadere lo stesso anno da Roberto Eduardo Viola, il 29 marzo 1981, che fu infine sostituito da Reynaldo Bignone nel 1982. Il regime militare continuò per molti altri mesi fino al crollo dopo aver perso la guerra delle Falkland nel 1982. La democrazia fu ripristinata nel 1983.
Quando il 31 ottobre 1982 il Corriere della Sera pubblicò l’elenco (certamente parziale) dei 297 desaparecidos italiani o d’origine italiana, sollevando l’attenzione dell’opinione pubblica, le autorità non poterono più ignorare la gravità di quello che era successo. Nell’articolo, Gian Giacomo Foà osservava: „Per paura di recare danno a qualcuno di questi ragazzi, per mesi, anzi per anni, le schede degli italiani desaparecidos erano rimaste chiuse nella cassaforte dell’Ambasciata italiana a Buenos Aires. Nessuno poteva leggere quei nomi né sapeva quanti fossero in realtà gli italiani torturati nelle carceri clandestine. Solo il silenzio poteva mantenere accesa la debole speranza di salvare le loro vite. I generali non avevano però mantenuto nessuna delle promesse. Non aveva più senso, quindi, continuare a nascondere l’identità dei 297 ragazzi, vittime dei criminali metodi con cui l’Argentina dei militari combatteva la guerriglia”.
Allo scoop giornalistico seguì un rimpallo di responsabilità e di polemiche, finchè il 28 aprile 1983 il „Documento final della Junta”, emanato teoricamente per favorire la riconciliazione nazionale, sui desaparecidos riconobbe come dovesse „restare definitivamente chiaro che quanti figurano nelle liste dei desaparecidos e che non si trovino in esilio o in clandestinità agli effetti giuridici e amministrativi si considerano morti, anche nel caso che nel presente non si possano determinare la causa e le circostanze dell’eventuale decesso, né l’ubicazione della sepoltura”.
Il comunicato creò vasta indignazione e suscitò le proteste dell’allora Presidente della Repubblica Pertini che, il 30 aprile, inviò alla Junta un telegramma nel quale affermava: „L’agghiacciante cinismo del comunicato con il quale si annuncia la morte di tutti i cittadini argentini e stranieri scomparsi in Argentina colloca i responsabili fuori dall’umanità civile. Esprimo lo sdegno e la protesta mia e del popolo italiano in nome degli elementari diritti umani, così crudelmente scherniti e calpestati”.

ESMA. La sala parto: „Com’era possibile che in questo luogo nascessero dei bambini?”
Il più grande, feroce e attivo centro illegale di detenzione e tortura delle persone scomode al regime della giunta era stato aperto nella „Escuela de Mecánica de la Armada”, conosciuta come ESMA, scuola per la formazione degli ufficiali della marina argentina di Buenos Aires. Da qui sono passate più di 5 mila persone e solo 500 ne sono uscite vive. Oggi è diventata la sede del Museo della Memoria ESMA, monumento storico nazionale, testimonianza delle azioni contro l’umanità in Argentina.
Il Museo si basa sulle testimonianze rese dai sopravvissuti nel Processo del 1985 e nei processi per crimini contro l’umanità ricominciati nel 2004 e fa parte dei siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO. Nei documenti di questa istituzione si ritrovano le tracce e le storie di alcuni dei nostri corregionali scomparsi, come Goimiro Princic, che viene chiamato anche col nome „José”, probabilmente con riferimento al suo secondo nome italiano, Giuseppe.
Egli venne rapito meno di un mese dopo il colpo di Stato assieme ad altri tre militanti del Partito peronista e richiuso proprio all’ESMA dove fu visto da una conoscente poi successivamente liberata. Del gruppo di quattro attivisti rapiti, Princic fu l’unico a non tornare a casa. Nei giorni successivi il rapimento un gruppo armato penetrò nel suo appartamento rubando documenti e oggetti di valore. La sua vicenda si chiude tragicamente qui.
Il nuovo governo seguito al potere militare, iniziò la persecuzione degli alti ufficiali per i crimini commessi durante quello che venne chiamato il „processo delle Giunte” del 1985. Videla fu condannato all’ergastolo per numerosi omicidi, rapimenti, torture e molti altri crimini e congedato dall’esercito nel 1985. Rimase in prigione solo cinque anni, perché nel 1990 il presidente Carlos Menem gli concesse la grazia. Nel 2005, però, la Corte suprema argentina stabilì la possibilità di riaprire il procedimento per crimini contro l’umanità. Il 22 dicembre 2010 il processo si è concluso e Videla è stato nuovamente condannato all’ergastolo.

Il 5 luglio 2012 Videla è stato ancora condannato a 50 anni di reclusione per la sua partecipazione a un piano per sottrarre bambini ai genitori detenuti dal regime militare. Si stima che durante questo periodo siano stati rubati circa 500 bambini, spesso da madri che hanno partorito in prigione e che in seguito sono „scomparse”. In una cella comune nella località di Marcos Paz, a 45 chilometri da Buenos Aires, Videla sino alla morte ha recitato il rosario tutti i giorni e ha continuato a raccontare e confessare pubblicamente i suoi reati, ma senza pentimenti.
Anche per Isabel Martínez de Perón si è aperta la via giudiziaria. Nel 2007 un giudice argentino ne ha ordinato l’arresto per la scomparsa forzata di un attivista nel febbraio 1976, sulla base del fatto che essa era stata autorizzata dalla sua firma dei decreti che consentivano alle forze armate argentine di agire contro i „sovversivi”. Venne arrestata vicino alla sua casa in Spagna, dove si era rifugiata, il 12 gennaio 2007, ma i tribunali iberici hanno rifiutato la sua estradizione in Argentina.
La conta di quei lunghi anni è tragica. Fare luce sulle sparizioni forzate di cui restano poche tracce è praticamente impossibile. Si arrivò a episodi di orrenda violenza. Molti dei prigionieri furono pesantemente drogati e caricati su aerei, dai quali furono sbalzati vivi in volo sull’Oceano Atlantico, i cosiddetti „vuelos de la muerte”, in modo da non lasciare traccia.
Per Goimiro Princic, Ivo Ukmar, Boris Blazina, Elena Codan e i tanti altri italiani „semplicemente” desaparecidos rimane struggente il ricordo e le parole che ebbe modo di pronunciare Lita Boitano, instancabile leader dell’Associazione dei familiari dei desaparecidos italiani: „Non ci arrendiamo: sappiamo che è l’unica cosa che possiamo fare non solo per i nostri figli, ma per tutti i trentamila desaparecidos”. Nella Plaza de Mayo, la piazza principale della capitale argentina, a quasi cinquant’anni di distanza, una bandiera e un presidio continuano a onorare questo impegno.
